Dickie e Micky Ward sono due fratelli entrambi pugili. Vivono a Lowell, una cittadina di provincia del Massachusetts in cui Dickie, il maggiore, è divenuto una sorta di leggenda vivente per aver mandato al tappeto Sugar Ray Leonard. Ora però Dickie fuma crack ed è sempre meno lucido ma non vuole smettere di essere l'allenatore del fratello. Il quale è messo sotto pressione anche dall'ambiente familiare. La madre Alice pretende di essere il suo manager, spalleggiata dalla tribù di sorelle del ragazzo. Micky viene mandato allo sbaraglio in un incontro e da lì cresce pian piano il desiderio di affrancarsi da una famiglia davvero troppo pesante da sopportare. L'incontro con la barista Charlene offre un ulteriore impulso a questa separazione. Ma non sarà un percorso facile e, forse, non sarà neanche quello giusto.
Un titolo che potremmo definire perfetto The Fighter perché questo film racconta sì di un pugile ma è soprattutto la cronistoria di un combattimento costante di un uomo contro chi, per un malinteso concetto di amore (fraterno o materno che sia), rischia di soffocarne per sempre la personalità. Micky Ward, classe 1965, è arrivato al titolo mondiale nella categoria dei Welter leggeri nel 2000 ma ciò su cui il film si focalizza è il rapporto con l'ambiente, sia esso familiare che sociale, in una sonnolenta città di provincia.
Non era facile, va detto, tornare a fare un film importante sul pugilato dopo Cinderella Man e non è un caso che il primo candidato a dirigerla sia stato Darren Aronofsky il quale ha rinunciato per mettersi dietro la macchina da presa di (guarda un po') The Wrestler rimanendo però in qualità di produttore esecutivo. Non era facile ma la scommessa è vinta, anche se con un finale molto “all'americana” come si sarebbe detto nell'Italia degli anni Sessanta.
David O.Russell punta tutto sulla dinamica del rapporto tra fratelli e Christian Bale gli offre, nel ruolo di Dickie, una delle sue interpretazioni più complete e cariche di umanità. Abituato a modificare il suo fisico a piacimento (ricordate la performance de L'uomo senza sonno?) questa volta va ancora oltre. Gli si legge negli occhi, anche quando non è in primo piano, tutto il disperato bisogno di essere apprezzato per quello che avrebbe potuto essere e non è stato nella vita. Per quell'andata al tappeto di Ray Sugar Leonard che molti esaltano e altri riducono a scivolata sul ring. Quell'apprezzamento lo cerca in un Micky che, come spesso gli accade sul quadrato, viene messo alle corde dalla vita. In particolare da una madre a cui un'esuberante ignoranza impedisce di capire che ha davanti non la possibile realizzazione del sogno infranto del figlio maggiore ma un uomo che ha bisogno di individuare da solo la sua strada.
È in questo percorso doloroso che Micky trova dentro di sé la forza per arrivare ad un finale che è pacificatorio e, come detto, troppo ‘happy'. Ma il segno dentro di lui è cambiato. Ora non è più lui quello che viene guidato. Ora è lui a scegliere. Anche contro ogni apparente ragionevolezza ma con la capacità di distinguere ciò che, nei rapporti familiari, è zavorra da eliminare e ciò che, nonostante l'apparenza, costituisce un valore.
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