lunedì 26 marzo 2012

Tre atti e due tempi di Giorgio Faletti

"Io mi chiamo Silvano ma la provincia è sempre pronta a trovare un soprannome. E da Silvano a Silver la strada è breve". Con la sua voce dimessa e magnetica, sottolineata da una nota sulfurea e intrisa di umorismo amaro, il protagonista ci porta dentro una storia che, lette le prime righe, non riusciamo più ad abbandonare.
Con Tre atti e due tempi Giorgio Faletti ci consegna un romanzo perfetto come una partitura musicale e teso come un thriller, che toglie il fiato con il susseguirsi dei colpi di scena mentre ad ogni pagina i personaggi acquistano umanità e verità.
Un romanzo che stringe in unità fili diversi: la corruzione del calcio e della società, la mancanza di futuro per chi è giovane, la resposanbilità individuale, la qualità dell'amore e dei sentimenti in ogni momento della vita, il conflitto tra genitori e figli. E intanto, davanti ai nostri occhi, si disegnano i tratti affaticati e sorridenti di un personaggio indimenticabile, Silver, l'antieroe in cui tutti ci riconosciamo e di cui tutti abbiamo bisogno.

domenica 25 marzo 2012

E con Vigor se ne va un altro pezzo della mia adolescenza

Sono triste e arrabbiata. Queste sono le notizie che mi lasciano addosso una malinconia e tristezza indescrivibile. Vigor era un giorcatore meraviglioso, talento allo stato pure ed estramamente umano. Uno spettacolo per gli occhi, per il cuore e per la mente. Non capisco questa vita. Come uno così giovane e pieno di vita possa esserci tolto così presto.

"La morte di Vigor ha sconvolto tutti noi. Non riesco a trovare le parole. Vigor era un grandissimo attaccante, un attaccante puro con una straordinaria fisicità". Difficile trovare il perché a una simile tragedia: "Siamo molto controllati, ma possono esserci delle piccole disfunzioni impercettibili. E' difficile che possa accadere quello che è accaduto, ma c'è sempre una piccola possibilità. Sono casi rarissimi ma ci sono. E a volte vanno a toccare persone che conosci molto bene" - Andrea Giani.

Posti in piedi in paradiso

Tre uomini divorziati ed estremamente diversi per carattere e abitudini decidono di condividere un fatiscente appartamento romano per venire incontro alle difficoltà economiche dettate dalla crisi e dalle personali debolezze. Ulisse gestisce un negozio di vinili e di memorabilia del suo glorioso passato di produttore discografico; Fulvio è stato un importante critico cinematografico prima di finire a scrivere di gossip e starlette a causa di una relazione epistolare intrattenuta con la moglie del suo caporedattore; Domenico, invece, è un agente immobiliare scapestrato che il vizio del gioco e delle donne ha ridotto a vivere dove capita e a dover pagare gli alimenti a un numero di figli e di famiglie imprecisato. I tre vitelloni si ritrovano a fare i conti con una difficile convivenza, finché una sera Domenico, che arrotonda le entrate come escort, viene colto da un malore dopo aver preso troppo viagra e fa chiamare a casa Gloria, una stramba cardiologa con seri problemi sentimentali.
In tempi di recessione economica e artistica, Carlo Verdone decide di non risparmiare nulla della sua personalità di attore e regista nel misurarsi con la “nuova” commedia italiana ai tempi della crisi. Posti in piedi in paradiso concentra ogni momento della commedia verdoniana: c'è il Verdone comico dei personaggi coatti, pignoli e ingenui (in questo caso condivisi con Pierfrancesco Favino e Marco Giallini); c'è il Verdone intimista dei conflitti familiari e delle nevrosi affettive; e c'è in parte anche il Verdone del racconto corale che cerca di tracciare un profilo sociale a partire da un insieme di caratteri molto diversi. Ne esce una “commedia di situazione”, ricca di personaggi e di relazioni, di microstorie e di umori, dall'impostazione quasi teatrale.
Due sono i blocchi fondamentali che la caratterizzano. La prima parte lavora sui meccanismi comici classici dettati dall'interazione fra uno “strano trio” di divorziati, in cui fra l'Ulisse pignolo e stressato di un Verdone che rifà se stesso e il Domenico tronfio e cialtrone di un Marco Giallini a metà fra Vittorio Gassman e Christian De Sica, si immette la figura mediana del Fulvio di Pierfrancesco Favino (forse quella più rappresentativa dell'uomo medio moderno, grazie al suo carattere al contempo imbranato e meschino, educato e cattivo). In questa fase, gli attori funzionano, mentre le gag fanno la spola fra il recupero della commedia all'italiana e la faciloneria del nazional-popolare. La seconda parte smembra progressivamente il trio per concentrarsi sui sentimenti attraverso il rapporto fra il personaggio di Verdone e quello di Micaela Ramazzotti e le relazioni fra padri e figli.
In questo ampio girotondo di anime e di caratteristi, si riconosce il tentativo di ampliare lo sguardo e la drammaturgia della commedia ordinaria, ma, allo stesso tempo, troppi sono i cambi di direzione, così come i momenti superficiali e meramente illustrativi. È come se Verdone più che cercare di narrare la realtà, giocasse a riempire il suo film di personaggi e di situazioni sfaccettate per prendere tempo e declinare umoristicamente tutte le possibili sfaccettature dell'attuale crisi, prima di decidere su quale di queste dirigere il senso del racconto.
Non proprio un film sulla crisi economica o sul dissesto della famiglia, non proprio un film sull'amicizia maschile o sulla stasi sentimentale, non proprio un film sulla nostalgia del passato e su un presente miserabile (l'aggettivo più ricorrente all'interno del film), Posti in piedi in paradiso cerca di raccontare tutto questo ma senza una precisa coerenza o unità. Né comico, né malinconico, il paradiso amaro di Verdone lascia posto solo a un messaggio consolatorio in cui la realizzazione delle generazioni dei figli scagiona i fallimenti di quelle dei padri. Speranza legittima e lodevole, ma che dimentica che se per i genitori ci sono solo posti in piedi, per i loro figli, al momento, non c'è neanche una lista d'attesa.

martedì 20 marzo 2012

The Dome di Stephen King


in una tiepida mattina d'autunno, una cupola trasparente cala all'improvviso dal cielo sopra una sonnolenta cittadina del Maine, isolandola dal resto del mondo. Una misteriosa, impenetrabile lastra che intrappola al suo interno duemila persone e che presto crea tra loro un'altra separazione, altrettanto invisibile e letale: quella fra gli onesti e i malvagi. Ma tutti, buoni e cattivi, dovranno fare i conti con quella cosa che hanno chiamato "the Dome", la Cupola, un incubo da cui sembra impossibile salvarsi. Perché ormai il tempo rimasto è poco, anzi sta proprio finendo, come l'aria...
Un romanzo epico, visionario, in cui King offre il meglio della sua potenza espressiva nello scontro fra mondo immaginario e mondo reale.

domenica 11 marzo 2012

La vita derelitta di Driss, tra carcere, ricerca di sussidi statali e un rapporto non facile con la famiglia, subisce un'impennata quando, a sorpresa, il miliardario paraplegico Philippe lo sceglie come proprio aiutante personale. Incaricato di stargli sempre accanto per spostarlo, lavarlo, aiutarlo nella fisioterapia e via dicendo Driss non tiene a freno la sua personalità poco austera e contenuta. Diventa così l'elemento perturbatore in un ordine alto borghese fatto di regole e paletti, un portatore sano di vitalità e scurrilità che stringe un legame di sincera amicizia con il suo superiore, cambiandogli in meglio la vita.
Il campione d'incassi in patria (con cifre spaventose) è anche un campione d'integrazione tra i più classici estremi. La Francia bianca e ricca che incontra quella di prima generazione e mezza (nati all'estero ma cresciuti in Francia), povera e piena di problemi. Utilizzando la cornice della classica parabola dell'alieno che, inserito in un ambiente fortemente regolamentato ne scuote le fondamenta per poi allontanarsene (con un misto di Mary Poppins e Il cavaliere della valla solitaria), i registi Olivier Nakache e Eric Toledano realizzano anche un film tra i più ottimisti sulle tensioni che attraversano la Francia moderna.
Mescolando archetipi da soap (anche i ricchi piangono), la favola del vivere semplice e autentico come ricetta di vera felicità e un pizzico di “fatti realmente accaduti”, a cui gli autori sembrano tenere molto (l'autenticità viene ricordata in apertura e di nuovo in chiusura con i volti dei veri personaggi), Quasi amici riesce a mettere in scena un racconto che scaldi il cuore e rischiari l'animo a furia di risate liberatorie (l'uinca possibile formula che porti incassi stratosferici) senza procedere necessariamente per le solite vie.
La storia di Philippe e Driss non segue la canonica scansione da commedia romantica, non procede per incontro/unione/scontro/riconciliazione finale ma ha un andamento più ondivago, che fiancheggia la crisi del rapporto e le sue difficoltà senza mai forzare il realismo.
Pur concedendo molto a quello che piace pensare, rispetto al modo in cui realmente vanno le cose, il duo Olivier Nakache e Eric Toledano riesce nell'impresa non semplice di infondere un'aria confidenziale ad un film che poteva facilmente navigare le acque del favolismo.
Molto è merito di un casting perfetto che, si scopre alla fine, ha avuto il coraggio di allontanarsi parecchio dalle fisionomie dei personaggi originali. Sul corpo statuario sebbene non perfettamente scolpito (come sarebbe invece accaduto in un film hollywoodiano) di Omar Sy passano infatti tutte le istanze del film. Dai suoi sorrisi alle sue incertezze fino alla sua determinatezza, ogni momento è deciso a partire da quello che l'uomo nero può significare nella cultura francese odierna. Elemento pericoloso quando vuole spaventare un fidanzato che merita una lezione o un arrogante vicino che ingombra il passaggio, indifesa vittima della società quando ha bisogno di un aiuto, forza primordiale e vitale quando balla e infine carattere autentico quando tenta approcci improbabili con le algide segretarie.

venerdì 2 marzo 2012