mercoledì 30 novembre 2011

La peggior settimana della mia vita

Paolo è in procinto di sposarsi con Margherita, la donna che ama. Manca solo una settimana alle nozze e tutto sembra prospettare un avvenire roseo e soave. Peccato che in quegli ultimi sette giorni ogni cosa paia rivoltarsi contro di lui e le sue romantiche aspirazioni. Tormentato da una collega ossessionata da lui e accompagnato da un testimone di nozze del tutto inaffidabile, in una sola settimana Paolo colleziona una serie di improvvide azioni dalle conseguenze disastrose tanto per la sua immagine agli occhi della fidanzata e dei futuri suoceri, che per la salute di cani e anziani parenti della sposina. Tanto che, a dispetto della devozione del povero innamorato, anche le serene prospettive del giorno più felice della sua vita cominciano a farsi fosche e incerte.
Anche se alle prese con la sua opera prima, Alessandro Genovesi può essere già considerato, assieme a Fausto Brizzi e Federico Moccia, fra i protagonisti di un processo di “globalizzazione” della commedia italiana: una sorta di riforma delle storie e dei personaggi italiani dove alla tipica vocazione alle maschere e alla satira, si sostituisce gradualmente un tipo di rom-com di stampo anglosassone, fatta di situazioni, di incastri e di momenti topici. Autore del testo teatrale da cui Gabriele Salvatores ha tratto la sua Happy Family eccentrica e sorniona, Genovesi per la sua prima regia effettua un tipo di operazione di saccheggio dall'immaginario d'oltremanica e d'oltreoceano non lontano da quello praticato per il film di Salvatores. Là si citavano Wes Anderson e Woody Allen giustificandosi dietro la fantasia di una struttura metalinguistica; qua si riprende esplicitamente un format televisivo della BBC per farne una commedia a metà strada fra Ti presento i miei e Bridget Jones, i Farrelly e Mister Bean.
Al crocevia di questo scambio anglo-americano fra comicità farsesca e sopra le righe e toni candidi e melliflui, si situa in maniera icastica la personalità di Fabio De Luigi, sorta di corpo comico ibrido capace di attrarre verso di sé tanto le sventure di Ben Stiller che il romanticismo goffo e impacciato del giovane Hugh Grant. È attraverso di lui che si avvia e si compie questo breve calvario umoristico di sfighe e umiliazioni che non nasconde il ritmo sincopato del format televisivo da cui prende avvio e che, anzi, fa delle naturali ellissi della propria struttura a episodi l'alibi per concentrarsi solo sui disastri e far ridere più agilmente. Peccato che questa stessa frammentazione scandita da una serie di dissolvenze sulle urla farsesche di De Luigi metta in mostra anche le fragilità di questa “commedia derivata”, in particolare la dissonanza della sarabanda di piaghe che il personaggio di De Luigi è capace di scatenare. A volte parossistiche e sopra le righe, altre volte più ordinarie; quasi mai, purtroppo, particolarmente originali. Così che la settimana peggiore della vita non è certamente la più memorabile.

domenica 27 novembre 2011

Anonymous

Shakespeare era veramente quello che crediamo? Se lo chiede un anziano su un palco teatrale e così facendo introduce l'inizio di una storia in costume che mette in scena una delle molte tesi sull'identità di questo autore.
Nell'Inghilterra cinquecentesca di Elisabetta I è disdicevole scrivere per il teatro se si è il duca di Oxford, così Edward De Vere paga un attore per assumere lo pseudonimo da lui inventato di Shakespeare e mettere in scena le sue opere spacciandole per proprie, così che possano finalmente essere rappresentate. Il successo è clamoroso, ma nell'ombra qualcuno trama ed è pronto a svelare il misterioso legame che lega il Duca alla regina.
La storia della vera paternità delle opere di Shakespeare è tra le meno note, invece quella di Anonymous è tra le più risapute, quella cioè di un film parabiografico e fantastorico, che ricostruisce un periodo con accuratezza per poter mentire sugli eventi che vi capitarono e le figure che lo abitarono, tagliando la storia di Shakespeare per ritrarla come un dramma shakespeariano.
Ci sono registi che sanno pensare solo in grande, a prescindere da quel che girano, Roland Emmerich è uno di questi. Con Anonymous passa dall'impatto di catastrofi giganti sulle vite di piccoli uomini, all'impatto di figure storiche giganti sulla storia della letteratura. La regina d'Inghilterra, il (forse) vero Shakespeare, l'attore che gli ha prestato le fattezze come le conosciamo oggi e infine William Cecil, potentissimo consigliere di corte, sono i personaggi titanici di un film che mantiene la volontà di Emmerich di affrontare un tema ai massimi livelli.
Certo il regista di Independece Day e 2012 non si trova a suo agio con i dialoghi tanto quanto sembra esserlo tra i palazzi che crollano, così ogni tanto qualche ampia visuale a volo d'uccello e qualche corsa a cavallo, hanno il sapore liberatorio dell'ora d'aria di un carcerato.
Tra le mura dei palazzi reali come tra quelle del Globe Theatre, Emmerich sembra sempre rincorrere qualcosa che non trova. Non è il mistero dell'identità di Shakespeare (del quale sembra importare molto poco a questo film fatto solo di certezze) quanto la voglia insopprimibile di definire e mostrare al pubblico ancora una volta il non mostrabile, un personaggio tra i più venerati della storia anglo sassone, l'autore che è la matrice di tutte le dinamiche cardinali del cinema blockbuster hollywoodiano e una delle penne più influenti della narrazione contemporanea mainstream.
Anonymous guarda a Shakespeare come si guarda Godzilla, cercando di farlo entrare tutto in un quadro per coglierne la portata ma non riesce mai a definirne la sua grandezza come vorrebbe. A questo non giova la natura di biopic del film (sebbene molto sui generis), il ritratto è infatti pieno di luci (autentiche) ed ombre (che si rivelano luci mascherate prima che si possa avere un dubbio sul soggetto della storia), ma mai di un'autentico squarcio di grandezza umana o professionale.
Non fosse per la sequenza della folla infervorata dalla rappresentazione del Riccardo III, si direbbe che il film non ha nemmeno amore per le opere shakespeariane.

venerdì 25 novembre 2011

venerdì 18 novembre 2011

Immortals

Re Iperione ha un progetto folle: liberare i Titani. Siamo nel 1200 a.C., gli dei dell'Olimpo da tempo immemore hanno sconfitto i Titani e li hanno rinchiusi nel monte Tartaro, solo l'arco forgiato da Marte potrà liberarli. Nessuno però sa dove sia nascosto e solo una veggente potrebbe rivelarlo.
Tra Iperione e la veggente sta però Teseo, figlio bastardo, ripudiato dalla propria città, ma pronto a battersi contro l'uomo che davanti ai suoi occhi ha sgozzato la madre. Il suo asso nella manica è che nonostante non lo sappia nemmeno lui, Teseo da quando è bambino è stato in realtà addestrato da Zeus in persona.
Dell'ispirazione epica, dei personaggi realmente raccontati nei miti greci e della titanomachia, da cui Immortals prende le mosse, è inutile parlare per fare improbabili confronti, a Tarsem Singh non interessa certo l'aderenza al mito. Tutto è piegato alle esigenze di un racconto che rende moderno l'intreccio e americani (nei gesti, nelle movenze, nelle parole, nelle azioni, nelle decisioni e nella morale) i personaggi che portano nomi classici. Ma la contraddizione di Immortals è proprio di rifiutare il mito a livello di racconto e cercare l'epica nella forma.
Il punto di forza del film infatti sta da un'altra parte, in quell'idea (promossa da 300 e qui replicata fedelmente) che una dimensione realmente epica debba essere visivamente straniante e, nello specifico, pittoricamente alterata in postproduzione. Il risultato è stupefacente e capace di andare anche oltre il modello originale ( 300, non i miti greci) per inventiva, gusto grafico e audacia. In questo senso funziona moltissimo un 3D ben calibrato e aiutato da riprese e angolature che esaltano la prospettiva.
Ma se il film tratto dalla graphic novel di Frank Miller aveva un contenuto che procedeva di pari passo alla propria forma, se cioè sapeva ritrarre un mondo dai valori altamente fuori dal tempo (e per questo altamente epici) con un'estetica di egual arroganza, questo Immortals somiglia di più a uno Scontro tra titani (sia l'originale che il remake).
Stesso vale per gli attori, invece che essere irriconoscibili, per mimesi e aderenza al contesto, sono fin troppo evidenti i volti di Mickey Rourke, Freida Pinto ed Henry Cavill, maschere moderne addobbate con abiti e con un trucco che suonano sempre irrimediabilmente fasulli.
Alla fine per Immortals va davvero rispolverata l'abusata metafora che accosta i film ben realizzati ma poveri di contenuti a spot pubblicitari, perchè stavolta il volto degli attori è utilizzato per essere notato e riconosciuto invece che per mescolarsi al resto degli elementi.

martedì 15 novembre 2011

Un giorno di David Nicholls

E' l'ultimo giorno di università e per due ragazzi sta finendo un'epoca. Ormai si sentono adulti e indipendenti, hanno davanti a loro l'intera vita da afferrare a piene mani. Emma e Dexter sono a letto insieme, nudi. Lui è alto, scuro di carnagione, bello, ricco. Lei ha i capelli rossi, fa di tuto per vestirsi male, adora le questioni di principio e i grandi ideali. Si sono appena laureati, l'indomani lasceranno l'università. Dopo una serata di grandi bevute sono finiti a baciarsi con passione, e poi tra le lenzuola. Ora sono lì, l'una accanto all'altro, nell'alba che lascia intravedere il loro futuro e le loro speranze.
E' il 15 luglio 1988, e per la prima volta Emma e Dexter si amano e si dicono addio. Lui è destinato a una vita di viaggi, divertimenti, ricchezza, sempre consapevole dei suoi privilegi, delle sue possibilità economiche e sociali. Ad attendere Emma è invece un ristorante messicano nei quartieri nord di Londra, nachos e birra, una costante insicurezza fatta di pochi soldi e sogni irraggiungibili.
Ma per loro il 15 luglio rimarrà sempre una data speciale. Ovunque si trovino, in qualunque cosa siano occupati, la scintilla di quella notte d'estate tornerà a brillare. Dove sarà Dexter, cosa starà combinando Emma? Per venti anni si terranno in contatto, e per un giorno saranno ancora assieme. Perchè quando Emma e Dexter sono di nuovo vicini, quando chiacchierano e si corteggiano, quando litigano e scherzano, raccontandosi i loro amori, i successi e i fallimenti, solo allora scoprono di sentirsi bene, di sentirsi migliori. E forse sanno di essere addirittura felici.

Comico, intelligente, malinconico, Un giorno cattura l'energia sentimentale delle grandi passioni: i cuori spezzati, l'intricato corso dell'amore e dell'amicizia, il coraggio, le attese e le delusioni di chiunque abbia desiderato una persona che non può avere.

giovedì 10 novembre 2011

Colazione da Tiffany

Holly è una provinciale - ma molto sofisticata - che vive a New York. Ha frequentazioni di gente di ogni tipo: artisti, ricchi, malviventi. Paul è un giovane scrittore protetto da un'amante più anziana di lui. Holly e Paul abitano nello stesso palazzo. Si conoscono, diventano amici. La ragazza, che mira a sposare un miliardario, passa da una festa all'altra, rincorre il tempo, è fragile, passa da depressioni profonde a esaltazioni sfrenate. Ma non manca mai, la mattina, rientrando da una festa, di far colazione davanti alle vetrine di Tiffany, la leggendaria gioielleria.Emergono, dal passato di Holly, scheletri e fantasmi, ma sono solo frutto della sua ingenuità. E comunque, sposare un ricchissimo messicano cancellerà tutto. Ma il magnate si tira indietro. A Holly rimane Paul, che l'ama davvero, e forse anche lei contraccambia. Alla fine i due si abbracciano nella pioggia scrosciante. Un classico della commedia americana, ma con tanti valori aggiunti, a cominciare da Truman Capote, autore del romanzo. Il film, nei decenni, è diventato un sempreverde. Anche se molti episodi e caratteri sono di maniera e scontati, qualche magia continua ad essere dispensata. A cominciare da Audrey Hepburn, nevrotica e insicura, da proteggere e scusare. Un personaggio certo datato, ma trasferibile decennio dopo decennio anche ai caratteri contemporanei, dove vale più che mai lo smarrimento e la ricerca di un'identità. C'è poi la canzone Moon River di Henry Mancini, diventata uno dei grandi temi abituali del cinema, sempreverde, appunto, e frequentatissimo.E poi Tiffany: impari, per esempio, che lì puoi comprare anche spendendo solo dieci dollari. Nessuna agenzia pubblicitaria, e nessun budget avrebbero potuto valere la "testimonial" Hepburn, davvero una delle attrici e dei personaggi più significativi del cinema e del secolo, capace, come forse nessuna, di dettare mode e comportamenti, e sogni. Il titolo, in cassetta o DVD, continua ad essere nelle classifiche dei noleggi, e non è davvero frequente per un film di quel periodo. Anche questo è un segnale.

mercoledì 9 novembre 2011

I tre moschettieri

Nella Francia del '600 tre moschettieri e un ragazzo di Guascogna compiono una missione che potrebbe sembrare suicida per andare a recuperare una collana in terra Inglese. L'oggetto trafugato dalle stanze della regina dalla spia doppiogiochista Milady potrebbe essere usato infatti come ingannevole prova di una relazione tra la sposa del re di Francia e la casa Inglese, scatenando una guerra tra le due nazioni, proprio come vogliono le trame del perfido Cardinal Richelieu. Sulla scia del successo dello Sherlock Holmes di Guy Ritchie, anche il romanzo di Alexandre Dumas viene sottoposto al medesimo trattamento: uno stravolgimento totale della trama, a partire dall'uso dei medesimi personaggi che incarnano versioni moderne del loro carattere. L'esito però è di certo meno godibile dell'investigatore di Ritchie. Regista videoludico per eccellenza (a lui la palma del maggior numero di trasposizioni dirette dal joypad al grande schermo) Paul W. S. Anderson sceglie per questo I tre moschettieri in versione steampunk-fumettosa di non abbandonare il suo terreno d'elezione, affiancando alle molte soluzioni rubate da altri film anche una buona dose di idee nate per le console. Ma proprio la tendenza di Anderson a rubare da altri film o altri videogiochi è l'elemento più sconfortante del film. La citazione, per sua definizione, è un riferimento allusivo, un ammiccamento vago o un ricalco rispettoso e coerente con il suo modello originale, che giova al film citato tanto quanto al citante; Anderson invece saccheggia e dispone di quel che ha saccheggiato con arroganza, pretendendo che ciò che funzionava altrove funzioni nella stessa maniera anche nel suo film. Così abbondano idee visive e di dialogo prelevate di sana pianta da "Assassin's Creed", "Civilization", Matrix (ancora?!?!), "Populus", Elizabeth (sia il primo che il secondo), "Call of Duty", Sherlock Holmes (per l'appunto), Per un pugno di dollari, e addirittura Troy nell'inquadratura finale! Senza che mai il film ne esca arricchito. Al contrario è nelle parti più eminentemente fumettistiche, quando l'iperbolico si accoppia allo steampunk, che ci si inizia a divertire, perchè al linguaggio del cinema altrui Anderson sostituisce la necessità di narrare lasciando alla straordinaria fotografia di Glen MacPherson (a metà tra un dipinto e Photoshop) il compito di creare l'atmosfera più corretta, quella cioè che si accoppia con le capigliature improbabili dei personaggi e i colori sgargianti che già gli avevamo visto maneggiare in Resident evil: afterlife, sempre di Anderson.Dunque al netto delle velleità cinematografiche, dei momenti più legati al romanzo d'origine e delle performance degli attori (tutti svogliati, Christoph Waltz compreso ma Milla Jovovich esclusa), ci si può anche divertire.

domenica 6 novembre 2011

Anna Karenina di Lev Tolstoj

Combattuta tra l'amore per il figlio, il vincolo matrimoniale e la passione per un altro uomo, Anna Karenina sarà travolta da un conflitto tanto drammatico da trascendere i confini del personaggio per diventare emblematico. Una tragedia che la accomunerà ad altre tormentate figure di donne, come Madame Bovary, per citare la più famosa. Ispirandosi con inconfondibile potenza creativa a un fatto di cronaca, Tolstoj trasfuse in Anna Karenina l'ansia e il desiderio di chiarezza etica che dominarono la sua vita. Costruito con un raffinato gioco di incastri narrativi, e tuttavia con la consueta scorrevolezza stilistica dei capolavori tolstojani, il romanzo presenta una bruciante problematica morale, lasciando al lettore il giudizio definitivo.