"Quante volte ve lo devo dire! La vita non è perfetta, le vite nei film sono perfette, belle o brutte, ma perfette, nei film non ci sono tempi morti, la vita è piena di tempi morti, nei film sai sempre come va a finire, nella vita non lo sai mai."
giovedì 18 febbraio 2010
Amabili resti
A Norristown, in Pennsylvania, fra villette a schiera e campi di granturco, vive la famiglia Salmon. Susie, la primogenita, è un'adolescente qualunque, appassionata di fotografia e innamorata del compagno di scuola Ray Singh. Il 6 dicembre 1973, dopo aver avuto il suo primo incontro romantico con lui, Susie viene fermata sulla strada di casa dal vicino, il signor Harvey, tranquillo ometto di mezza età con la passione per le case di bambola. Dopo averla fatta entrare in un piccolo rifugio sotterraneo da lui stesso costruito, Harvey la violenta e la uccide brutalmente. Lo spirito di Susie si trova così a muoversi fra la terra e il cielo in una sorta di limbo fatto di ricordi e di fantasie, da dove può vedere e patire per quel che succede ai suoi cari e al suo omicida nel mondo mortale.In una delle prime scene di Amabili resti, quelle in cui racconta i suoi ultimi giorni in vita, Susie riceve per il suo quattordicesimo compleanno una macchina fotografica compatta e venticinque rullini di pellicola 110 che esaurisce nel giro di pochi giorni. Di fronte ai genitori, che le rimproverano di aver sprecato tutte le fotografie disponibili, la giovane adolescente si giustifica dicendo "in questa famiglia, la creatività è vista come un ostacolo". Le stesse parole con le quali potrebbe difendersi Peter Jackson dalle accuse di chi gli rinfaccia di aver perso la sintetica fluidità dei primi film in favore di un cinema espanso nella durata e nella sovrabbondanza di piste narrative. Con Amabili resti, Jackson decide di ricostruire linearmente il flusso di coscienza atemporale dell'io narrante del romanzo di Alice Sebold, per poi scomporlo in numerosi percorsi, in soggetti diversi e in una narrazione episodica, frammentata. Ad ognuno dei personaggi spetta una personale scena chiave, un momento di gloria diegetica (la caduta nella depressione e nella paranoia del padre Mark Wahlberg, la fuga spirituale della madre Rachel Weisz, i siparietti comici della nonna degenere Susan Sarandon, la metempsicosi in stile Ghost dei due compagni di scuola), senza tuttavia mai raggiunge un livello di profondità psicologica o emotiva tale da giustificarne la presenza. Alla sventurata Susie tocca invece attraversare tutti i cliché della cultura new age sull'universo post-mortem, dal paesaggio edenico dai colori ipersaturi fino alle più triviali figurazioni dei desideri e dei simboli psicanalitici, passando per l'abusata versione dream pop di Song to the Siren dei Cocteau Twins. Peter Jackson risveglia attenzione e emozioni in presenza di Stanley Tucci, (stra)ordinario psycho killer di provincia dalla frenesia assassina tenuta nascosta sotto ad un parrucchino biondo, due occhi glaciali e una mascella allargata. Nel costruire la presenza del signor Harvey, anche la regia di Jackson trae nuovo istinto e ispirazione, aggiornando Hitchcock ai tempi delle nuove microcamere digitali e regalando gli amabili resti di un film, che vive di molte sensazioni.
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