Liz Gilbert ha una bella casa a New York, un matrimonio fresco, una carriera di successo. Ma improvvisamente scopre che tutto questo non è quello che vuole e che per capire cosa cerca davvero dovrà lasciare tutto e tornare dallo sciamano balinese che le ha messo la pulce dell'insoddisfazione nell'orecchio, passando per Roma, dove vuole imparare a godersi la vita partendo dall'apprezzamento del buon cibo, e dall'India, dove vuole imparare a pregare.
Tratto dal bestseller di Elizabeth Gilbert e diretto dal regista di Nip/Tuck (ma non lo direste mai) Ryan Murphy, Mangia Prega Ama è un titolo sbrigativo, assertivo, a suo modo essenziale, esattamente come il film che introduce. Superata la sindrome Sex & the City per cui si vuol far credere che la crisi dei trent'anni possa stare nel corpo arcinoto di una star più matura, il film sfiora delle corde poco esplorate dalla commedia americana ma rientra in fretta nel giro armonico atteso.
Il capitolo italiano è inutile: un lunghissimo spot di vini, caffè e sottovesti, privo di qualsiasi ripercussione narrativa sul resto del film, in cui per giunta non c'è personaggio che, durante o dopo il pasto, non si pulisca i denti con la lingua (forse un trucco alla Stanislavskij per dare verità all'azione del “mangiare con piacere” sullo schermo?) Ma andiamo oltre. Nel secondo capitolo, quello indiano, solo parzialmente meno ornamentale del precedente, il personaggio di Richard Jenkins confessa alla protagonista le ragioni del suo essere nell'ashram di una guru (che però se ne sta più furbescamente a New York) e racconta perciò dell'ex moglie e del figlio. Il monologo è costruito in modo da lasciar intendere l'esistenza di una tragedia, che poi si rivela scampata. Ora, fare “una finta” su un argomento del genere, per far sobbalzare d'orrore lo spettatore che si stava effettivamente appisolando, è piuttosto scorretto, ma con questo passo falso il film, in realtà, rivela di sé più di quanto vorrebbe: in fondo, è tutta una finta, ci viene fatto credere a lungo che stiamo guardando un film “diverso” ma la verità (che traspare dalla locandina, obbligata alla sintesi estrema) è che si tratta dell'ennesima commedia sentimentale in cui Julia Roberts prima piange e poi ride e che l'unico incontro che conta è quello con l'uomo dei sogni (e, non c'è bisogno di dirlo, non è lo sciamano).
I temi del libro sono seri, complessi ed effettivamente attuali, ma il trattamento che il film riserva loro è sempre molto edulcorato, protetto da una ciambella di sorrisi e bambagia. La solitudine e l'emarginazione a cui la scelta di Liz la espone non dura mai più di un accenno, la sofferenza è annacquata nel gelato, la confusione stemperata nell'esotismo di una seduta di psicoterapia-lampo presso un simpatico vecchietto in mutandoni, che non può prendere l'aereo “perché non ha i denti” (nel suo nonsense, una delle battute migliori del film).
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