Clyde è a casa con moglie e figlioletta quando due sadici criminali irrompono nell'appartamento e uccidono la donna e la bambina. La causa viene affidata a Nick il quale, vista la fragilità delle prove a carico dei due decide di sfruttare la confessione del più violento che denuncia il complice. In questo modo una condanna a morte diviene certa ma il ‘pentito' riceve una pena lieve. Clyde è sconvolto da questa decisione. Dieci anni dopo al momento dell'esecuzione della pena capitale qualcosa va storto e il condannato soffre terribilmente. E' solo l'inizio della vendetta di Clyde il quale, anche dal carcere e sfidando Nick continuerà a colpire.
Giustizia privata è indubbiamente un film ad alto tasso di in-trattenimento. Nel senso che trattiene il pubblico incollato alla poltrona grazie a una triplice strategia. Inizia infatti come un legal thriller con il difficile rapporto tra l'uomo di legge e il cittadino che non riesce a capacitarsi del mancato raggiungimento di una giustizia piena. Prosegue poi, suscitando attese sulle possibili varianti, come un ennesimo capitolo dei “Giustizieri della notte” con Clyde di nuovo a confronto con il suo trauma e Nick che tenta di ricondurlo nell'ambito della razionalità. Prosegue e termina poi costringendo lo spettatore ad esercitare ai massimi livelli la cosiddetta sospensione dell'incredulità. Perché Clyde riesce a colpire i suoi bersagli in così vari e iperbolici modi che a quel punto ogni seppur lontana ipotesi di verosimiglianza viene miseramente a cadere. Tutto quello che nella prima parte poteva indicare una tensione verso il confronto cittadino/in-giustizia (vedi il titolo originale) viene abbandonato in favore di un luna park di soluzioni che neanche il più azzardato dei film di James Bond avrebbe osato mettere in campo. Ecco allora che lo spettatore smaliziato si ‘trattiene' dinanzi allo schermo cercando di indovinare quale altro improbabile ma spettacolare strumento di morte verrà messo in funzione e in che modo. Quello più ‘ingenuo' si diverte e può bastare.
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