domenica 25 marzo 2012

Posti in piedi in paradiso

Tre uomini divorziati ed estremamente diversi per carattere e abitudini decidono di condividere un fatiscente appartamento romano per venire incontro alle difficoltà economiche dettate dalla crisi e dalle personali debolezze. Ulisse gestisce un negozio di vinili e di memorabilia del suo glorioso passato di produttore discografico; Fulvio è stato un importante critico cinematografico prima di finire a scrivere di gossip e starlette a causa di una relazione epistolare intrattenuta con la moglie del suo caporedattore; Domenico, invece, è un agente immobiliare scapestrato che il vizio del gioco e delle donne ha ridotto a vivere dove capita e a dover pagare gli alimenti a un numero di figli e di famiglie imprecisato. I tre vitelloni si ritrovano a fare i conti con una difficile convivenza, finché una sera Domenico, che arrotonda le entrate come escort, viene colto da un malore dopo aver preso troppo viagra e fa chiamare a casa Gloria, una stramba cardiologa con seri problemi sentimentali.
In tempi di recessione economica e artistica, Carlo Verdone decide di non risparmiare nulla della sua personalità di attore e regista nel misurarsi con la “nuova” commedia italiana ai tempi della crisi. Posti in piedi in paradiso concentra ogni momento della commedia verdoniana: c'è il Verdone comico dei personaggi coatti, pignoli e ingenui (in questo caso condivisi con Pierfrancesco Favino e Marco Giallini); c'è il Verdone intimista dei conflitti familiari e delle nevrosi affettive; e c'è in parte anche il Verdone del racconto corale che cerca di tracciare un profilo sociale a partire da un insieme di caratteri molto diversi. Ne esce una “commedia di situazione”, ricca di personaggi e di relazioni, di microstorie e di umori, dall'impostazione quasi teatrale.
Due sono i blocchi fondamentali che la caratterizzano. La prima parte lavora sui meccanismi comici classici dettati dall'interazione fra uno “strano trio” di divorziati, in cui fra l'Ulisse pignolo e stressato di un Verdone che rifà se stesso e il Domenico tronfio e cialtrone di un Marco Giallini a metà fra Vittorio Gassman e Christian De Sica, si immette la figura mediana del Fulvio di Pierfrancesco Favino (forse quella più rappresentativa dell'uomo medio moderno, grazie al suo carattere al contempo imbranato e meschino, educato e cattivo). In questa fase, gli attori funzionano, mentre le gag fanno la spola fra il recupero della commedia all'italiana e la faciloneria del nazional-popolare. La seconda parte smembra progressivamente il trio per concentrarsi sui sentimenti attraverso il rapporto fra il personaggio di Verdone e quello di Micaela Ramazzotti e le relazioni fra padri e figli.
In questo ampio girotondo di anime e di caratteristi, si riconosce il tentativo di ampliare lo sguardo e la drammaturgia della commedia ordinaria, ma, allo stesso tempo, troppi sono i cambi di direzione, così come i momenti superficiali e meramente illustrativi. È come se Verdone più che cercare di narrare la realtà, giocasse a riempire il suo film di personaggi e di situazioni sfaccettate per prendere tempo e declinare umoristicamente tutte le possibili sfaccettature dell'attuale crisi, prima di decidere su quale di queste dirigere il senso del racconto.
Non proprio un film sulla crisi economica o sul dissesto della famiglia, non proprio un film sull'amicizia maschile o sulla stasi sentimentale, non proprio un film sulla nostalgia del passato e su un presente miserabile (l'aggettivo più ricorrente all'interno del film), Posti in piedi in paradiso cerca di raccontare tutto questo ma senza una precisa coerenza o unità. Né comico, né malinconico, il paradiso amaro di Verdone lascia posto solo a un messaggio consolatorio in cui la realizzazione delle generazioni dei figli scagiona i fallimenti di quelle dei padri. Speranza legittima e lodevole, ma che dimentica che se per i genitori ci sono solo posti in piedi, per i loro figli, al momento, non c'è neanche una lista d'attesa.

Nessun commento: