mercoledì 27 ottobre 2010

Inception

Dom Cobb possiede una qualifica speciale: è in grado di inserirsi nei sogni altrui per prelevare i segreti nascosti nel più profondo del subconscio. Viene contattato da Saito, un potentissimo industriale di origine giapponese, il quale gli chiede di tentare l'operazione opposta. Non deve prelevare pensieri celati ma inserire un'idea che si radichi nella mente di una persona. Costui è Robert Fischer Jr. il quale, alla morte dell'anziano e dittatoriale genitore, dovrà convincersi che l'unica cosa che può fare è distruggere l'impero ereditato. Saito avrà allora campo libero. In cambio offrirà a Cobb la possibilità di rientrare negli Stati Uniti dove è ricercato per omicidio. Cobb accetta e si fa affiancare da un team di cui entra a far parte la giovane Ariane, architetto abilissimo nella costruzione di spazi virtuali.
In principio era Calderon de la Barca con il suo “La vita è un sogno”. Ma in principio era anche Memento, visto alla luce di Inception può essere riletto come un banco di prova per quell'illusionista ad alto livello (vi dice niente The Prestige?) che risponde al nome di Christopher Nolan. Se, come molti dei film scritti e riscritti per troppo tempo, anche questo rischia a tratti il cerebralismo autoreferenziale, è però indubbio che il triplice salto mortale (tre sono i livelli da esplorare nell'inconscio onirico di Fischer) è perfettamente riuscito.
Nolan affronta le dinamiche della psiche nello stato di sonno con la competenza di un esploratore dotato di mappe sconosciute ai più ma anche con la consapevolezza di chi è altrettanto a conoscenza delle alchimie più segrete della macchina-cinema i cui elementi sa distillare con sapienza, cercando anche di evitare il più possibile il ricorso agli effetti speciali. Perché Inception è al contempo una detection, una riflessione sul funzionamento della psiche, un melodramma, un film d'azione. Il tutto inserito nell'ambigua cornice di quella incapacità di distinguere tra apparenza e realtà che è propria di ogni essere umano quando, nel sonno, crea mondi tanto inesistenti quanto assolutamente ‘reali'. Nolan si concede anche ammiccamenti mitologici (Arianna) e cinefili (ad esempio scegliere “Je ne regrette rien” come canzone in un film che vede presente Marion Cotillard non dev'essere stato propriamente casuale) ma lo fa senza esagerare.
Mi permetto di dare qualche consiglio: 1) Non fatevi raccontare (e non raccontate dopo la visione) nulla dello sviluppo delle vicende. Non capireste e/o non riuscireste a spiegare togliendo comunque il gusto della sorpresa. Un sogno raccontato in anticipo si trasforma in un incubo. 2) Diffidate dalle imitazioni che, quasi inevitabilmente, seguiranno. 3) Se amate le trame lineari andate a sognare altrove.

mercoledì 20 ottobre 2010

Mangia Prega Ama

Liz Gilbert ha una bella casa a New York, un matrimonio fresco, una carriera di successo. Ma improvvisamente scopre che tutto questo non è quello che vuole e che per capire cosa cerca davvero dovrà lasciare tutto e tornare dallo sciamano balinese che le ha messo la pulce dell'insoddisfazione nell'orecchio, passando per Roma, dove vuole imparare a godersi la vita partendo dall'apprezzamento del buon cibo, e dall'India, dove vuole imparare a pregare.
Tratto dal bestseller di Elizabeth Gilbert e diretto dal regista di Nip/Tuck (ma non lo direste mai) Ryan Murphy, Mangia Prega Ama è un titolo sbrigativo, assertivo, a suo modo essenziale, esattamente come il film che introduce. Superata la sindrome Sex & the City per cui si vuol far credere che la crisi dei trent'anni possa stare nel corpo arcinoto di una star più matura, il film sfiora delle corde poco esplorate dalla commedia americana ma rientra in fretta nel giro armonico atteso.
Il capitolo italiano è inutile: un lunghissimo spot di vini, caffè e sottovesti, privo di qualsiasi ripercussione narrativa sul resto del film, in cui per giunta non c'è personaggio che, durante o dopo il pasto, non si pulisca i denti con la lingua (forse un trucco alla Stanislavskij per dare verità all'azione del “mangiare con piacere” sullo schermo?) Ma andiamo oltre. Nel secondo capitolo, quello indiano, solo parzialmente meno ornamentale del precedente, il personaggio di Richard Jenkins confessa alla protagonista le ragioni del suo essere nell'ashram di una guru (che però se ne sta più furbescamente a New York) e racconta perciò dell'ex moglie e del figlio. Il monologo è costruito in modo da lasciar intendere l'esistenza di una tragedia, che poi si rivela scampata. Ora, fare “una finta” su un argomento del genere, per far sobbalzare d'orrore lo spettatore che si stava effettivamente appisolando, è piuttosto scorretto, ma con questo passo falso il film, in realtà, rivela di sé più di quanto vorrebbe: in fondo, è tutta una finta, ci viene fatto credere a lungo che stiamo guardando un film “diverso” ma la verità (che traspare dalla locandina, obbligata alla sintesi estrema) è che si tratta dell'ennesima commedia sentimentale in cui Julia Roberts prima piange e poi ride e che l'unico incontro che conta è quello con l'uomo dei sogni (e, non c'è bisogno di dirlo, non è lo sciamano).
I temi del libro sono seri, complessi ed effettivamente attuali, ma il trattamento che il film riserva loro è sempre molto edulcorato, protetto da una ciambella di sorrisi e bambagia. La solitudine e l'emarginazione a cui la scelta di Liz la espone non dura mai più di un accenno, la sofferenza è annacquata nel gelato, la confusione stemperata nell'esotismo di una seduta di psicoterapia-lampo presso un simpatico vecchietto in mutandoni, che non può prendere l'aereo “perché non ha i denti” (nel suo nonsense, una delle battute migliori del film).

venerdì 15 ottobre 2010

This is where I belong

Here I stand in the northern rain, and I can't believe I'm home again. And I can't believe how nothing's changed. I'm finding my way. Old park bench where I carved my name, but now it doesn't stand alone 'cause now the trees have over grown, many a road that I've travelled that's led me a stray. Here's where my heart's gonna stay. This is where I belong, this is where I come from. No need to shed my tears or face my fears anymore. So I won't walk alone, taking things on my own. All of the lands I've roamed, memories of my home, they keep beating strong 'cause this is where I belong. There you stood in the open door, just like so many years before when I told you that I needed more in my life. I was wrong to even walk away, abandon all the love that we made but now I've learned from all my mistakes, just like a star in the sky guiding me on. Your love is pulling me home, 'cause this is where I belong.